Il paradosso Kodak

A rischio fallimento il marchio simbolo della fotografia

Il 19 gennaio scorso la società americana, fondata da George Eastman nel 1888 nello stato di New York, ha richiesto il “Chapter 11”, una forma procedurale per la bancarotta assistita, al fine di poter rafforzare la sua liquidità negli Stati Uniti e all’estero, consentendo al Gruppo di concentrarsi sui settori a più alta redditività. Stiamo parlando di circa sette miliardi di dollari di passivo e di quasi ventimila dipendenti a rischio.

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kodak

Il 19 gennaio scorso la società americana, fondata da George Eastman nel 1888 nello stato di New York, ha richiesto il “Chapter 11”, una forma procedurale per la bancarotta assistita, al fine di poter rafforzare la sua liquidità negli Stati Uniti e all’estero, consentendo al Gruppo di concentrarsi sui settori a più alta redditività. Stiamo parlando di circa sette miliardi di dollari di passivo e di quasi ventimila dipendenti a rischio.

 

Ma stiamo parlando anche di un brand che fino a pochi anni fa era tra i cinque più forti al mondo; del brand che ha creato la prima macchina fotografica “a scatto”, denominata appunto Kodak, che con una semplice pressione su un pulsante permetteva di fare fotografie in modo semplice; parliamo dell’azienda che ha lanciato – l’anno dopo, nel 1889 – la prima pellicola per diapositive a base di cellulosa (uno dei primi clienti è Thomas Edison, che riesce così a ideare la prima telecamera) e, nel 1891, la prima macchina fotografica con il “moderno” rullino: finalmente era possibile eseguire la sostituzione della pellicola anche alla luce del sole.

loghi kodak

L'evoluzione del marchio Kodak dal 1907 al 2006.

 

Stiamo parlando di un marchio che, nel 1952, riceve un Oscar dall’Academy di Hollywood per i suoi successi scientifici e tecnici applicati alla cinematografia. Stiamo parlando di una società le cui pellicole e macchine fotografiche iniziarono, dal 1959, a essere utilizzate per i programmi spaziali della NASA, accompagnando dieci anni dopo Aldrin e Armstrong durante la prima passeggiata sulla Luna.
E, se ancora l’elenco qui sommariamente esposto non fosse sufficiente per raffigurare il titolato paradosso, ricordiamo che stiamo parlando della società che ha ottenuto per prima, nel dicembre 1975, una vera fotografia attraverso un processo esclusivamente elettronico: il preludio del digitale! Questo in risposta a chi afferma che la Eastman Kodak non sia stata prodiga nel rimanere aggiornata alle nuove tecnologie o ai cambiamenti del mercato. Cosa dire, ci auguriamo tutti che un tale colosso possa uscire dalla crisi, ma il fatto che un marchio storico così importante – e non solo perché leader di un determinato comparto merceologico –  sia giunto a questi estremi, ha senza dubbio dell’incredibile e, dal punto di vista del brand, del paradossale.

Steven Sasson

L'ingegnere Steven Sasson, il primo a scattare una fotografia interamente digitale, per Kodak.

La prima annotazione da condividere è che quanto che sta accadendo alla Kodak deve servire da monito e da esempio per tutte aziende del mondo, di qualsiasi settore. Specialmente di quelle realtà che possono godere di successi commerciali legati a precedenti innovazioni di prodotto, perché non sarà mai abbastanza sufficiente. È fondamentale per il business moderno rimanere aggiornati con le nuove tecnologie o alle richieste del mercato, ma è altresì fondamentale preservare il brand dalle variabili aziendali. Il brand, per quanto strettamente legato alle performance dell’offerta, deve poter avere una vita propria, potenzialmente separata dal prodotto che rappresenta. I successi di un prodotto hanno storicamente creato valore al brand, ma oggi è in atto una inesorabilmente inversione dei ruoli, dove sempre di più sarà il brand a valorizzare il prodotto. Il marchio Kodak ha oggi un valore immenso e, se capitalizzato come un effettivo bene finanziario, non morirà mai.

Il brand-name Kodak

George Eastman

George Eastman

Il nome Kodak rappresenta uno dei principali esempi di vero “good naming”. Ciò che risulta incredibile è che è stato ideato ben 125 anni fa, quando il branding era ancora una disciplina sconosciuta. George Eastman fu geniale anche nella creazione del brand-name, applicando quelle che oggi possono essere considerate le regole d’oro della brand identity. Il marchio doveva essere facile da sillabare e da pronunciare in tutte le lingue del mondo, una parola breve ma robusta, doveva differenziarsi da altre aziende o prodotti e, infine ma ancor più importante, doveva essere un termine di fantasia, privo cioè di significato linguistico, al fine di consentire una più facile protezione legale del marchio.

 

Un aspetto fondamentale per un buon brand-name è quello della fonetica: Eastman riteneva che la lettera K avesse un suono deciso e distintivo. Aveva ragione, infatti – sonoricamente – le due lettere K presenti nel nome richiamano a livello onomatopeico il doppio clicktipico delle macchine fotografiche. Ultima nota curiosa: Eastman affermerà anche che la K era sempre stata la sua lettera preferita in quanto lettera iniziale del cognome di sua madre (Maria Kilbourn).