La scelta del carattere tipografico da abbinare a un brand non può essere mai casuale. Occorre sempre avere un’idea di come si può giungere all’individuazione del font di scrittura che una marca deve adottare nella sua comunicazione.
Non ci si riferisce quindi al carattere con cui comporre il nome del brand, bensì al carattere – o alla famiglia di caratteri – che deve costituire il set ufficiale da utilizzare per l’immagine coordinata e per la documentazione pubblicitaria. Senza avere la pretesa né di affrontare l’intero scibile tecnico, storico e culturale che ruota intorno alla ‘tipo-grafia’, né di esaurire un tema così importante e complesso in poche righe, l’intento è semplicemente quello di introdurre alcuni concetti base da tenere In considerazione, utili peraltro non solo ai meno esperti.
Cominciamo a esporre alcuni fondamenti. Esistono decine di migliaia di font e, da quando il computer ha sostituito la tipografia classica, ne sono stati generati un’infinità di nuovi (o clonati di vecchi). Purtroppo la qualità media scaturita è molto modesta però, grazie al computer (e a Steve Jobs, il primo che ha introdotto font diversi in un sistema informatico), l’utilizzo dei caratteri si è diffuso esponenzialmente.
I font possono essere di diverse tipologie: le due principali sono i “graziati” (caratteri con le grazie, per esempio il Times) e i “bastoni” (caratteri senza grazie, per esempio l’Helvetica o il suo avatar digitale Arial). Le classificazioni dei caratteri sono molteplici (è molto citata quella di Aldo Novarese del 1956, che potete trovare su Wikipedia/Aldo-Novarese). Per semplificazione, riportiamo in tabella una selezione più essenziale, allo scopo di individuare gli stili principali: Serif; Slab; Sans; Fraktur; Script; Fantasy.
Tutti possono avere diversi pesi: “tondo” (regular), “nero” (bold)
o italic (corsivo). Anche i termini sono cambiati da quando
il computer ha consentito l’utilizzo dei font ai non addetti ai lavori.
E, sempre grazie a qualche vantaggio del mezzo digitale,
oggi abbiamo dei caratteri progettati e disegnati ad hoc per ottenere
– per esempio – una migliore leggibilità a monitor (come il Verdana, font studiato appositamente per rendere meno faticosa la fruizione di un testo su uno schermo).
Può anche essere importante sapere che, quasi sempre, un carattere ha una propria versione in italic e anche che, quando ne selezioniamo il corsivo dal menù
di alcuni software non evoluti, spesso si ottiene
un font con la sola inclinazione geometrica del disegno delle lettere.
Per controllare questa eventuale anomalia provare a notare come
il disegno della lettera minuscola -a- del Times New Roman cambi nella sua versione in corsivo -a-.
La lettera minuscola -a- del Times cambia totalmente il disegno dalla versione normale del carattere a quella in corsivo.
La scelta di un font, inoltre, oltre a considerare le soppracitate variabili deve essere guidata da altri aspetti, forse i più discriminanti per agire correttamente: quelli relativi al CONTESTO e quelli relativi alla PERCEZIONE che ne scaturisce.
Uno stile è più indicato di un altro a comunicare determinate sensazioni: per esempio un carattere graziato evoca una certa istituzionalità, un lineare può essere idoneo per porsi in modo informale, mentre uno slab (carattere con grazie bastonate) potrebbe predisporsi per una via di mezzo, una “istituzionalità informale”.
Un font script, specialmente uno dallo stile tendenzialmente british, è perfetto per evocare valori di eleganza classica.
Bisogna fare molta attenzione, invece, all’utilizzo dei caratteri fantasia, cioè quelli con un disegno fuori dai canoni tradizionali, perché nonostante si pensi siano indicati per distinguersi, nella maggior parte dei casi comunicano una certa “volgarizazzione”, in quanto smaccatamente caratteristici (una sorta di “effetto clown”). Senza contare che, essendo questo genere di font facilmente acquistabile da chiunque, proprio le peculiarità che in prima analisi sembrano di evidente differenziazione, diventano invece i primi elementi di inflazionamento, in quanto immediatamente individuabili.
Ma la parte più difficile è decidere il font giusto tra quelli dello stesso stile. È meglio un Helvetica o un Din? Qui la questione è più sofisticata poiché fattori come provenienza storica, dettagli estetici e livello d’invasività formale possono valere più della stessa originalità. Un suggerimento: in questi casi, benché possa sembrare paradossale, è meglio utilizzare un carattere più diffuso e meno moderno, non è detto infatti che un font che sembra “meno visto” sia in realtà la scelta vincente.