Il lato funzionale della comunicazione

Nell'ambito della nostra indagine sulla Comunicazione incontriamo Gaetano Grizzanti, che ci guida in un'analisi del valore della comunicazione visiva e in una ridefinizione del ruolo del progettista grafico, inserito in quella che definisce "l'era del branding".

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Nell'ambito della nostra indagine sulla Comunicazione incontriamo Gaetano Grizzanti, che ci guida in un'analisi del valore della comunicazione visiva e in una ridefinizione del ruolo del progettista grafico, inserito in quella che definisce "l'era del branding".

Cominciamo con la domanda che introduce al dibattito di recente aperto da Graphicus: dove sta andando la comunicazione?

Gli ultimi cinquant'anni italiani hanno sancito in modo più pragmatico lo sviluppo di ciò che la comunicazione visiva ha significato in seguito, l'evoluzione della nostra professione da artista/artigiano a progettista/consulente. Di fatto la Grafica è ovunque, coinvolge i più diversi ambiti del quotidiano, con la funzione primaria di tradurre un messaggio in codice. Il fattore strategico è costituito dall'intenzionalità: prima del codice il messaggio, il contenuto, ma, prima ancora, gli obiettivi di comunicazione.

 

Infatti, affinchè la comunicazione sia efficace, è necessario prestabilire con chiarezza e razionalità gli obiettivi di un artefatto; quale deve essere - per esempio - l'obiettivo di comunicazione di un marchio o di una brochure? 

Ancora oggi si pensa che un marchio debba obbligatoriamente tradurre, e contenere, le caratteristiche di un prodotto o dell'attività di un'impresa, quando in realtà sono i valori che rappresenta una qualsiasi entità che devono essere trasmessi. La comunicazione visiva oggi ha un ruolo fondamentale, direi determinante: la costruzione di un'identità. Da tutto questo potere nasce la figura del progettista grafico, che deve essere in grado di usare e gestire la grande varietà di media oggi disponibili con esperienza e coerenza, compensando qualità di design ed esigenze di marketing.

 

La comunicazione visiva e di conseguenza la grafica hanno il ruolo di influenzare il senso estetico e l'opinione comuni. Esiste un'etica della comunicazione?

Comunichiamo continuamente e il rischio di comunicare nostro malgrado è persistente, quindi la grafica, proprio perché così presente nella vita di tutti i giorni, è inevitabile che porti con sé un certo valore etico. Potrebbe sembrare anacronistico ma, sorvolando le sfere sociali e politiche, credo che il primo aspetto ancora oggi - specialmente oggi - che la cultura del progetto grafico non debba mai perdere di vista, sia l'attenzione della propria professionalità. Troppo spesso l'associazione tra marketing e cultura viene a priori demonizzata, quando tutti sappiamo che una 'buona' grafica è in grado di ridurre i danni - estetici e morali - che la comunicazione commerciale produce. Questo sarebbe già un buon risultato. E' fondamentale, a questo proposito, ristabilire e chiarire il ruolo effettivo della professione dl graphic designer, dandogli maggiore concretezza: finora la nostra attività è stata avvolta da una sorta di alone di effimero, e per contrapposizione il settore ne enfatizzava l'aspetto culturale. Mossa giusta, che andava e che va fatta sempre per nobilitare e presidiare il mondo del design, ma non sufficiente per una divulgazione globale della nostra professione. Così facendo abbiamo parlato solo a una nicchia, a un pubblico ristretto di cultori appassionati e addetti ai lavori. Un esperto di design per la comunicazione, può e deve dare il proprio contributo per far attribuire competenza all'intero comparto, un ruolo oltre a quello dell'esteta, una funzione oltre quella di designer per come è visto nell'immaginario collettivo. Ciò è importante al fine di assegnare un ruolo al designer grafico in quanto consulente accreditato, necessario e non superfluo, indispensabile e credibile, insomma: professionista e non artista. Occorrerebbe, quindi, individuare modalità semplici e alla portata di tutti per divulgare l'effettiva identità del progettista grafico. Forse questa potrebbe essere la strada per promuovere una cultura e una figura professionale che desidera fortemente essere compresa da tutti. 

 

Come nasce il branding? Quali sono i suoi fondamenti?

La committenza, quando è in cerca di un consulente per la comunicazione, ha una grande difficoltà a orientarsi. L'assenza di una professionalità misurabile favorisce la diffusione di scetticismo intorno al panorama multiforme delle agenzie e degli studi italiani, generato dalla scarsa competenza esistente, sia da una parte sia dall'altra. Il brand è la proposta di un'impresa al suo pubblico, e per rappresentare un brand è necessario che esso abbia un marchio, e il marchio è senza dubbio una delle principali competenze di un progettista grafico. Il branding, quindi costituisce un'opportunità reale di rivalutazione della nostra professione, in quanto attribuisce un comprovato valore economico al marchio, quale prima interfaccia comunicativa per il brand, sia che rappresenti un'impresa o un prodotto/servizio. Il marchio è il codice visivo - visuale e testuale - di un brand, che ha il compito di trasmettere un posizionamento, cioè il motivo per cui il consumatore deve preferire una marca a un'altra, determinando il successo di un'azienda. Rispetto al passato, quando cioè sono nati i brand più affermati e conosciuti oggi, il marchio porta con sé un valore realmente tangibile ed economicamente quantificabile. Ma anche se la marca - per come la definiamo oggi - è nata poco più di un secolo fa, possiamo affermare che il branding in quanto disciplina si crea solo negli ultimi tempi, specialmente nel nostro Paese. Questo perché, banalmente, solo dopo performance di decenni dei brand mondiali più noti, è stato possibile analizzare e quantificare l'entità finanziaria di una marca attribuendo perciò un valore economico anche alla competenza di chi si occupa di costruirla. Infatti, da quando è fondamentale affermare una marca più che uno specifico prodotto o la singola azienda, il brand è divenuto il primo prodotto di un'impresa.

  

Come si inserisce e che valore ha il ruolo del brand nell'attuale tendenza a un tipo di comunicazione, che per motivi mediatici e culturali, è più mirata e personalizzata?

Il branding ha una forza estrema e prende in considerazione il ruolo più importante della comunicazione, cioè quello che rimane ancorato indipendentemente dal tipo di mezzo di comunicazione che s'impiega per trasmetterlo. Questo perché, fondamentalmente, la marca arriva a esprimere una propria identità come se fosse una persona. Naturalmente, per dare una maggiore valenza al messaggio, bisogna decodificare un target oggi molto più evoluto, non costituito solo da una classificazione d'età, sesso e status, bensì di personalità, stili e valori sociali. Il brand crea un'immagine che deve coinvolgere l'individuo, deve entrare nel suo mondo: per farlo è necessario dare un senso a ciò che rappresenta, un significato condivisibile e preciso.

 

La comunicazione è diventata sintetica perché è diventata più veloce? 

Pensiamo a Nike: un semplice segno, senza più il nome, per rappresentare una realtà così complessa. La vera comunicazione deve essere sintetica, è un assunto della sua tecnica, altrimenti non assolverebbe alla sua funzione intrinseca, a maggior ragione di questi tempi, che siamo continuamente sommersi di messaggi pubblicitari sotto ogni forma, esplicita e subdola. L'esempio Nike è sicuramente emblematico per il branding, ma non facciamoci ingannare da un caso in cui l'affermazione della marca è dovuta principalmente dall'idea di posizionamento dell'azienda, allargando il concetto di sport alla vita di tutti i giorni, e alla forza economica di divulgazione che gli ha consentito di essere su ogni mezzo di comunicazione di massa. Un altro esempio è Benetton, un caso veramente rappresentativo di un brand che nella sua comunicazione non parla del prodotto, ma di valori. Nike ha avuto il merito di costruire il proprio brand oltre il target primario, creando un proprio "life-style", e per farlo ha strutturato la vera forza della grafica: l'utilizzo di un segno semplice e senza tempo. E' sicuramente un insegnamento, ma non replicabile oggi. Molti clienti ci chiedono "un marchio come quello della Nike", e il primo passo è far capire loro che un segno simile, proprio per questo, non li distinguerebbe, ma li relegherebbe a comuni emulatori col rischio di creare un danno d'immagine già in partenza. Vista la presenza di miliardi di marchi esistenti sul mercato globale, costruire un brand oggi è sempre più difficile, pensando inoltre che dovrà essere distintivo, connotativo e rappresentativo di un'identità valoriale strategicamente predefinita. Il cambio di scenario in cui siamo, sancisce a tutti gli effetti l'era del branding, dove i valori inconsci possono essere inglobati in codici visivi sintetici ma protagonisti.
 

 

Intervista tratta da Graphicus, 14 ottobre 2005.